La fisica e metafisica dell’interpretazione concettualistica

La meccanica quantistica ha mantenuto negli anni la fama di essere “la teoria più oscura”. Funziona perfettamente, eppure nessuno sembra sapere perché. È stato sostenuto che la difficoltà nel comprenderla derivi dal nostro tentativo, inevitabilmente fallimentare, di imporle uno schema concettuale inadeguato, volendo a tutti i costi pensare agli oggetti della teoria come, appunto, a degli oggetti: cioè a delle entità dotate di proprietà spaziotemporali sempre attuali. Questo schema spaziotemporale troppo restrittivo è molto probabilmente il cuore del problema, come sottolineato anche dalla rivoluzione einsteiniana. Quale potrebbe essere, dunque, un’alternativa? Molti pensatori hanno suggerito che dobbiamo arrenderci al fatto che il nostro mondo fisico è costituito da potenze e potenzialità immanenti. Lo ha fatto Aristotele ante quantum litteram, seguito da studiosi come Heisenberg, Primas, Shimony, Piron, Kastner, Kauffman, de Ronde, solo per citarne alcuni, tra cui anche gli autori, che sono stati entrambi studenti di Piron a Ginevra. Tuttavia, se da un lato un’ontologia della potenzialità pone l’accento sui processi di cambiamento, responsabili degli incessanti passaggi tra proprietà attuali e potenziali, dall’altro non chiarisce in cosa consistano questi cambiamenti. In altre parole, rimane aperta la questione metafisica dell’identificazione della natura del portatore di queste potenze, o potenzialità, e delle entità in grado di attualizzarle. Lo scopo del presente articolo è quello di sottolineare che tale interrogativo ha trovato una possibile risposta nella recente interpretazione concettualistica della meccanica quantistica, che a nostro avviso offre l’ontologia e la metafisica mancanti che possono rendere la teoria pienamente intelligibile, e persino intuitiva. Nel farlo, sottolineeremo anche l’importanza di distinguere attentamente i diversi strati concettuali che sono contenuti nel suo edificio esplicativo, poiché solo in questo modo si può comprendere adeguatamente, e apprezzare appieno, il potere esplicativo che essa offre, senza promuovere indebiti riduzionismi e/o antropomorfizzazioni.

Quando le menti si intrecciano

Ho studiato fisica all’Università di Losanna, negli anni Ottanta del secolo scorso, dove ho avuto la possibilità di imparare la meccanica quantistica da Gérard Wanders e Dominique Rivier, due studenti di Ernst Stueckelberg, e da Jean-Jacques Loeffel, un allievo di Pauli (si veda la Figura 1). In seguito, fui assistente di Constantin Piron, a Ginevra, per il suo famoso corso di meccanica quantistica. Anche Constantin era uno studente di Stueckelberg, oltre che di Josef-Maria Jauch. Ho poi svolto la mia tesi di dottorato con Philippe-André Martin, compagno di università di Piron e anch’egli studente di Jauch. In altre parole, ho avuto la possibilità di imparare la meccanica quantistica da persone che avevano ricevuto una formazione di altissimo livello e che erano veramente interessate e impegnate a capirla, sia dal punto di vista matematico che concettuale. Quando, in tempi più recenti, sono entrato in contatto con Diederik Aerts, dopo molto tempo che non praticavo più la fisica, credo che sia solo perché ho avuto dei maestri così autorevoli, che mi hanno fornito la giusta prospettiva e postura mentale, che si è potuta sviluppare una collaborazione affascinante e fruttuosa.